Così Verona ricorda Giuseppe Corso, nel 68esimo anniversario della tragedia di Marcinelle, nella quale morirono 262 minatori.
Verona ricorsa Giuseppe Corso nel 68esimo anniversario della tragedia di Marcinelle. La tragedia di Marcinelle, sobborgo operaio di Charleroi in Belgio, è il simbolo alla memoria di tutti gli emigrati italiani che hanno perso la vita sul lavoro. Un mestiere duro, faticoso e pericoloso che, l’8 agosto 1956 nella miniera di carbone del “Bois du Cazier”, costò la vita a 262 minatori, 136 dei quali italiani, soffocati dall’ossido di carbonio e braccati dalle fiamme di un incendio. Uno di essi era il veronese Giuseppe Corso che è stato commemorato oggi, in occasione della Giornata nazionale del Sacrificio del lavoro italiano nel mondo, con la deposizione di una corona nella via a lui intitolata nel 2001 a San Felice Extra.
Durante la cerimonia, alla quale sono intervenuti l’assessore alla Memoria storica Jacopo Buffolo, i parenti di Corso, i rappresentanti delle istituzioni militari e civili cittadine dell’associazione Veronesi nel Mondo, si è ricordato quanto sia necessario tutelare i lavoratori, indipendentemente dalla nazionalità e il luogo di lavoro.
“Un ricordo da tenere vivo”.
“Marcinelle – dichiara Jacopo Buffolo – è un ricordo da tenere vivo nella storia del nostro paese per permetterci di costruire risposte migliori e vigilare ancora con più attenzione, per permetterci di costruire un futuro più giusto per tutte e tutti i lavoratori. A livello nazionale sono 1041 i morti sul lavoro del 2023 e 469 quelli nel primo semestre di quest’anno, a testimoniare che la piaga delle morti sul lavoro non è una questione novecentesca, ma prosegue nel mondo in cui viviamo.
La tragedia di Marcinelle.
Giuseppe Corso, morto l’8 agosto 1956 nella miniera di carbone di Bois du Cazier a Marcinelle, ed era uno dei 262 minatori che quel giorno persero la vita. Di questi 136 erano italiani. Erano italiani perché nel dopoguerra, in un paese da ricostruire la disoccupazione era altissima, mentre in regioni d’Europa poco più a Nord la manodopera non era solo ricercatissima, ma si cominciava a intravedere quel fenomeno, ancora di fortissima attualità, dove la popolazione autoctona smetteva di fare lavori troppo gravosi e pericolosi.
Sono stati più di 40.000 i lavoratori italiani finiti nelle miniere di carbone del Belgio tra il 1946 e il 1964, di questi 867 morirono nelle miniere tra frane, esplosioni, cadute nei pozzi.
Uomini partiti spesso con tante promesse. La promessa di un salario elevato, di assegni familiari e viaggi all’estero, di alloggi in cui vivere. Spesso invece si trovarono a vivere in baracche inadeguate e a lavorare in condizioni di sicurezza precaria, alle quali si sommavano le discriminazioni subite dagli immigrati da parte della popolazione locale. A questa beffa si sommava anche quella politica perché l’Italia non ricevette mai dal Belgio la congrua quantità di carbone patteggiata dagli accordi bilaterali sull’emigrazione”.
Ad inizio intervento l’assessore Buffolo ha dato lettura del testo di vicinanza trasmessa per l’occasione dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia. “Fra i 136 italiani – scrive il governatore – cinque erano cittadini veneti … i minatori Giuseppe Corso di Montorio Veronese, Dino Dalla Vecchia di Sedico, Giuseppe Polese di Cimadolmo, Mario Piccin di Codognè, Guerrino Casanova di Motebelluna”.
Presenti alla cerimonia l’assessore al Terzo settore Italo Sandrini, il Questore Roberto Massucci, il deputato veronese Marco Padovani, il presidente dei Veronesi nel Mondo Luciano Corsi, il presidente dei Veronesi nel mondo Charleroy – Marcinelle Gianni De Nardi, il rappresentante di CGIL CISL UIL UGL Federico Crestan e i ragazzi dell’associazione Nico tra le stelle, nata per dare memoria del giovane veronese Nicolò Corsi, morto sul lavoro.