“Già oggi il sistema sanitario Veneto è pronto ad attivare 1016 posti letto di terapia intensiva.
Abbiamo a disposizione tutti i macchinari necessari, a cominciare dai respiratori automatici, e abbiamo un’autosufficienza media di otto mesi per tutti gli altri dispositivi come mascherine e guanti. Qualche difficoltà, avanti nel tempo, potrebbe esserci per i camici, ma ci stiamo lavorando. Sul fronte del personale, non ci sono problemi per quello infermieristico che, dopo le molte assunzioni fatte, è sufficiente, mentre preoccupa la carenza di medici. Un problema nazionale che viene da lontano. Per questo ho già chiesto al Ministro della Salute Speranza di attivare dei corsi rapidi di anestesia e rianimazione per medici di altre specialità. Oggi, sottolineo oggi perché nessuno ha la sfera di cristallo per prevedere cosa ci sarà domani, la curva dei contagi è in salita, ma non esiste alcuna emergenza ospedaliera. Oggi non ci sono le condizioni per ipotizzare un lock down in Veneto e continuiamo a lavorare perché non accada mai”.
Sono questi alcuni dei concetti principali espressi ieri dal Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, nell’ampia parte dedicata al Covid-19 del suo intervento programmatico in Consiglio regionale.
“Noi non siamo né ottimisti né catastrofisti e non ci muoviamo sulla base di opinioni, ma di dati scientifici – ha ribadito il Governatore – come quelli che stanno alla base del nuovo Piano di Salute Pubblica che delinea cinque scenari di diversa gravità e le azioni sugli ospedali da modulare a seconda della situazione, e come quelli che quotidianamente diffondiamo e valutiamo con i nostri esperti. Facciamo ormai 25-30 mila tamponi al giorno, dai quali emerge che il 96% delle persone positive non presenta sintomi e abbiamo 66 ricoveri in terapia intensiva su 494 posti strutturati, pronti ad arrivare a 1.016. Quindi al momento non esiste tensione sugli ospedali. 66 ricoveri stanno nella forbice da 51 a 150 casi prevista dal livello 2 del nuovo Psp, mentre la fase 5 scatta sopra i 400 letti occupati. In ogni conteggio programmatorio teniamo naturalmente conto di almeno 200 posti da riservare ai pazienti con altre patologie gravi come infarti, ictus, interventi chirurgici importanti, incidenti stradali o sul lavoro. E’ evidente che dobbiamo evitare a tutti i costi di raggiungere la fase 5, che significherebbe tensione elevatissima con il rischio di dover tagliare cure non Covid. Stiamo lavorando per questo, con una diagnostica sempre più affinata e diffusa, usando non solo i tamponi molecolari di prima generazione, ma sempre di più i tamponi rapidi sperimentati dal dottor Rigoli a Treviso e validati dal Centro di Riferimento Nazionale dello Spallanzani di Roma. Siamo pronti a usare i cosiddetti ‘mini tamponi’ mandando i nostri sanitari nelle scuole dove c’è bisogno di diagnosi per la presenza di una positività, mentre su un altro fronte si sta aprendo la prospettiva dei tamponi salivari”.
“Questo – ha detto Zaia – per ribadire che il Veneto è fin dall’inizio in prima fila per studiare e sperimentare tutte le novità nazionali e internazionali e che spesso siamo stati noi i precursori. A cominciare dal primo caso di Vò il 21 febbraio, a seguito del quale, sulla base del Piano di Salute Pubblica di allora, mi assunsi personalmente la responsabilità di decidere la chiusura del comune e l’effettuazione dei tamponi a tappeto. Allora – ha ricordato Zaia – ci fu chi arrivò ad accusarmi di danno erariale perché avrei usato male i soldi pubblici per fare una cosa inutile. Poco dopo, questo metodo divenne il faro della prevenzione in tutto il mondo, e lo è tuttora”.
Zaia ha concluso rivolgendo un nuovo appello a tutti i cittadini: “Come tutti i virus – ha detto – anche questo se ne andrà. Abbiamo le cure migliori e un’organizzazione forte, ma per uscirne serve che giochiamo come un’unica squadra e che ognuno dia il suo apporto, portando sempre la mascherina, rispettando le distanze di sicurezza e le regole di igienizzazione delle mani”.
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