Amianto e uranio impoverito in missioni estere, tribunale di Verona accglie il ricorso del tenente di fanteria Sergio Cabigiosu.
Amianto e uranio impoverito nelle missioni all’estero: il tribunale di Verona ha accolto il ricorso presentato dal tenente di fanteria alpino, Sergio Cabigiosu, malato di leucemia mieloide cronica a causa dell’esposizione a vari cancerogeni, e ha condannato i ministeri della Difesa e dell’Interno a riconoscerlo vittima del dovere e a liquidare, prima di tutto, tutti i benefici spettanti per legge attraverso la speciale elargizione di 285mila euro, oltre agli assegni vitalizi mensili per un importo complessivo di 2.100 euro che percepirà a vita.
Cabigiosu, 50 anni, residente a Verona, dopo un primo periodo nel centro di addestramento, è stato collocato in servizio presso VI Reggimento Alpini, con diversi trasferimenti, tra i quali è stato anche impiegato in diverse missioni all’estero, tra cui l’operazione Joint Forge a Sarajevo.
La spiacevole scoperta è avvenuta nel 2017, all’età di 44 anni, quando Cabigiosu ha ricevuto la diagnosi della patologia asbesto correlata che gli ha causato un grave danno biologico al 100%, inequivocabilmente, quindi, legata all’esposizione a radiazioni dovute all’uso di proiettili all’uranio impoverito. Il tenente ha subito anche esposizione all’amianto, sia nelle caserme in Italia, che a Sarajevo.
Per il riconoscimento dei benefici amianto il tenente si è quindi rivolto all’Osservatorio Nazionale Amianto e al suo presidente, l’avvocato Ezio Bonanni che ha presentato ricorso innanzi il Tribunale di Verona, ottenendo ragione dal giudice il 10 luglio 2024, sentenza appena passata in giudicato, quindi definitiva e inappellabile.
“Come Franco Di Mare”.
Si tratta di un caso analogo a quello del giornalista Rai Franco Di Mare, impegnato anche lui come inviato di guerre, e che ha frequentato gli stessi luoghi di Cabigiosu, con alte contaminazioni di amianto e di radiazioni a nanoparticelle di metalli pesanti dovuti anche all’uso di proiettili all’uranio impoverito. È stato accertato che i nostri militari non furono informati del rischio dell’esposizione, né del fatto che fossero impiegati in zone altamente contaminate, né dotati di strumenti di protezione e prevenzione.
“Si tratta di una sentenza molto importante perché inverte l’onere della prova per esposizione a radiazioni e nanoparticelle di metalli pesanti e radioattivi ed è molto importante anche nell’ottica di risarcimento del danno subito dal militare per le esposizioni nel nostro Paese e nel territorio balcanico”, sottolinea Bonanni.