Trent’anni fa il mostro dietro le sbarre a Peschiera: l’arresto di Savi della “Uno Bianca”

Trent’anni fa il mostro dietro le sbarre a Peschiera: l’arresto di Savi della “Uno Bianca”.

Oggi, 22 novembre 2024, sono passati 30 anni dall’arresto al carcere di Peschiera di Roberto Savi, figura centrale della Banda della Uno Bianca. Questo anniversario ci riporta indietro a un’epoca oscura della storia italiana, segnata da una violenza spietata che per quasi otto anni ha terrorizzato le regioni del Nord Italia. La vicenda si intreccia con il carcere militare di Peschiera del Garda dove Savi fu arrestato.

L’arresto.

Il 21 novembre 1994, Roberto Savi venne convocato al carcere militare di Peschiera per un interrogatorio. In quel momento, il cerchio si stava stringendo intorno alla banda, grazie a un’indagine approfondita condotta da un gruppo di investigatori determinati a fermare una che aveva lasciato dietro di sé decine di vittime. Poche ore dopo l’interrogatorio, Savi venne arrestato. Questo evento segnò l’inizio della fine per la banda, con successivi arresti, tra cui il fratello Fabio Savi.

Il carcere militare di Peschiera, storicamente utilizzato per la detenzione di militari sotto processo o condannati, divenne così il simbolo di una svolta epocale. Lì si concluse la libertà di Roberto Savi, caposaldo di una banda che aveva seminato il terrore dal 1987 al 1994 compiendo rapine notturne nei caselli lungo l’autostrada A14.

La Banda della Uno Bianca e la scia di sangue.

La Banda della Uno Bianca prese il nome dall’automobile Fiat Uno bianca, spesso utilizzata dai membri per rapine e attacchi. Formata da un gruppo di poliziotti (tra cui i fratelli Savi) e da un collaboratore civile, la banda agì principalmente in Emilia-Romagna e nelle Marche, compiendo oltre 100 crimini che causarono la morte di 24 persone e il ferimento di altre 114.

Gli inizi furono caratterizzati da rapine ad attività commerciali, banche e distributori di benzina, sempre condotte con una brutalità sproporzionata. La banda si distinse per il suo modus operandi spietato: non esitava a sparare, spesso per eliminare testimoni o intimorire le vittime. Con il passare del tempo, il gruppo iniziò a prendere di mira obiettivi sempre più grandi, come furgoni portavalori e istituzioni pubbliche.

La particolarità inquietante della banda era la presenza, tra i suoi membri, di uomini che dovevano invece rappresentare la legge: Roberto Savi e i suoi fratelli Fabio e Alberto erano agenti di polizia, così come Marino Occhipinti e Pietro Gugliotta. Questo dettaglio sconvolse profondamente l’opinione pubblica, mettendo in discussione la fiducia nelle forze dell’ordine.

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