Nel 1812 il fisico veronese Giuseppe Zamboni rivoluzionò il dispositivo voltaico aumentandone la durata.
Dall’invenzione della prima pila, avvenuta nel 1799 da parte di Alessandro Volta, che la presentò a Napoleone due anni più tardi, l’abate Giuseppe Zamboni, fisico originario della frazione negrarese di Arbizzano, condusse una serie di studi sulla natura della corrente elettrica nel dispositivo voltaico, nel tentativo di migliorarne la durata e l’efficienza energetica.
Basandosi sugli esperimenti eseguiti dal chimico tedesco Johann Wilhelm Ritter, che scoprì a sua volta i raggi ultravioletti, nel 1812 Zamboni progettò un nuovo dispositivo, con dischi di sottili fogli di carta coperti da un lato da rame o da una lega di stagno e zinco e dall’altro da biossido di manganese. L’intero congegno fu poi inserito in un tubo di vetro nel quale vennero versate cera, resina o ceralacca. La pila così composta, chiamata “a secco” in quanto priva di liquido elettrolitico, permise al fisico veronese di perfezionare quella voltaica, aumentandone sensibilmente la durata.
Grazie alle sue ricerche sulla pila a secco e avvalendosi dell’aiuto dell’orologiaio Carlo Streizig, anch’egli veronese, Zamboni riuscì a costruire nel 1814 un orologio a funzionamento autonomo, definito “perpetuo”, il primo al mondo ad essere azionato da pile, ora visibile a Palazzo Erbisti, in via Leoncino, sede dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere. Altri orologi perpetui sono oggi custoditi in diversi musei in Italia e nel mondo, tra i quali quello Civico di Modena, che conserva un esemplare il cui pendolo oscillò ininterrottamente per quasi un secolo, fino al 1932, mentre altri due modelli si trovano al Liceo “Scipione Maffei”, in cui Zamboni fu docente di fisica.
Sulla parete esterna della sua ultima abitazione in via Pietà Vecchia, a fianco del Duomo, è stata apposta una targa che ricorda la morte del fisico, avvenuta nel 1846, quale ingegnoso inventore dell’elettromotore perpetuo.