Fino al Settecento, il tratto d’Adige della località della Bassa Veronese era costellato di mulini natanti.
Vere e proprie imbarcazioni fluviali, munite di doppio scafo e trainate da remi, i mulini natanti di Angiari costituivano per la popolazione il fulcro su cui si imperniava tutta l’economia locale. Su questi bastimenti lignei, infatti, propri della Pianura Padana e dei fiumi che la attraversano, erano alloggiati dei mulini ad acqua, con macine in pietra azionate dalla corrente del fiume mediante una ruota ad acqua detta pendente. Le strutture galleggianti potevano spostarsi sull’Adige alla ricerca dei punti con la corrente maggiore. Una volta individuati, i mulini venivano ormeggiati alla riva del fiume per macinare i cereali o pilare il riso, lasciando, verso la sponda opposta, lo spazio per la navigazione.
Dal Medioevo fino al XVIII questa attività rappresentò la principale fonte di sostentamento della Bassa Veronese, grazie anche all’abbondanza di terreni destinati all’agricoltura, tanto che sulle imbarcazioni erano previsti dei vani adibiti ad abitazioni per i mugnai. Nel Cinquecento i mulini attestati ad Angiari erano diciotto, il numero più alto di tutti gli altri paesi veronesi, grazie all’andamento particolare del fiume proprio in questo tratto, che assicurava una corrente ideale per l’attività di macinazione e pilatura.
Nel Settecento, poi, quando la famiglia angiarese dei Giustiniani progettò una nuova tipologia di mulino, detto terragno, in quanto posto sulla terraferma, i mulini calarono progressivamente, passando da diciotto a nove, di cui sette siti ad Angiari e due nella frazione di Porto. I mulini natanti fecero parte del patrimonio paesaggistico dell’Adige fino agli inizi del Novecento quando, a causa della comparsa sui fiumi della navigazione a vapore, che necessitava di grandi spazi, queste imbarcazioni vennero gradualmente smantellate. Di quegli opifici fluviali oggi, a Verona, non resta che qualche rara fotografia, che si unisce alle testimonianze degli ultimi mugnai della zona, udibili grazie ai racconti dei loro figli e nipoti.