Incisa sul fianco del campanile della chiesa di San Martino, l’iscrizione risale al 1166.
Una lunga iscrizione in latino di 64 righe si estende per oltre 4 metri di altezza sul fianco meridionale esterno del campanile di San Martino di Negrar, in Valpolicella. Si tratta del negozio giuridico che venne stipulato tra il 3 maggio e il 4 giugno del 1166 tra l’arciprete e il clero della pieve e alcuni cittadini veronesi in merito al riscatto, mediante una somma in lire, di un censo annuale in denaro e in vino in virtù dei rapporti feudatari con il Vescovado di Verona.
Ad uno di questi, un certo Ribaldino, l’arciprete Guizzardo riconosce 220 lire di denari veronesi per la vendita di 42 appezzamenti posti nella Valle Longazeria, nome con la quale veniva anticamente denominata la Val d’Illasi, sancendo inoltre la restituzione al vescovo di Verona del feudo che egli riceveva annualmente dalla pieve di Negrar.
L’operazione di monumentalizzazione dell’atto di compravendita, inciso sui conci di quello che oggi costituisce l’unico elemento superstite dell’antica pieve romanica, ovvero il campanile, evidenzia l’intento di mantenere integri i caratteri del documento notarile originario, probabilmente in ragione della sua rilevanza per la pieve stessa, oltre che per tutti gli abitanti della circoscrizione ecclesiastica, trattandosi di riscossione di decime.
Quella che viene comunemente indicata come la “carta lapidaria di Negrar”, però, non è l’unico caso di trasferimento su pietra di un documento notarile: delle disposizioni testamentarie dell’XI secolo sono difatti incise nella chiesetta di San Salvatore di Montecchia di Crosara, mentre un’epigrafe conservata nella chiesa di Santa Maria a Garda riporta con perfetta adesione al formulario una bolla di papa Innocenzo II del 1138 riguardante la risoluzione di una vertenza sulle decime con la chiesa di Cisano.