Prodotti non tipici negli agriturismi, asporto, consegna e catering alcune delle proposte a cui gli esercenti veneti dicono “no”.
Arriva da Verona il grido d’allarme degli esercenti veneti che chiedono alla politica regionale di ripensare il nuovo impianto di regolamentazione relativo agli agriturismi, respingendo, tra le altre, le proposte di somministrare prodotti non tipici, di fare asporto, consegna e catering.
Eletto poco più di un mese fa alla guida di Fipe Veneto, il veronese Paolo Artelio annuncia: “Si vuole stravolgere la disciplina originaria, con l’effetto di scatenare una concorrenza sleale nei confronti del mondo della ristorazione in un momento oltretutto di grande difficoltà del settore e senza tutelare il consumatore”.
La modifica della legge che regola le attività turistiche connesse al settore primario interessa un comparto economico considerevole che conta circa 1.500 imprese attive nelle sette province, con un peso rilevante nell’offerta turistica complessiva. Secondo quanto ha appreso Fipe Veneto, la sesta commissione consiliare ha fissato un tetto massimo al numero di posti letto attivabili in un agriturismo, il riconoscimento anche per le aziende che propongono enoturismo e oleoturismo, nonché la possibilità per gli agriturismi stessi di preparare pasti per asporto e di partecipare a manifestazioni esterne, sagre e fiere che non hanno alcun legame col territorio.
Le nuove regolamentazioni che preoccupano gli esercenti.
La decisione ora passa alla terza commissione consiliare, dove dovrà essere affrontato anche il tema della percentuale massima di prodotti tipici e a “chilometro zero” che potranno essere somministrati al pubblico.
In merito alla possibilità di aumentare, in sede di preparazione dei pasti, la quota di prodotto non aziendale – non realizzata, cioè, direttamente dall’azienda agricola – Artelio è particolarmente preoccupato: “Una parte di materie prime acquistate sul libero mercato, che già oggi arriva al 35% del totale, potrebbe venir alzata ulteriormente, per arrivare al 50%. Ma non solo. Si ipotizza che mentre per metà prodotto si debba utilizzare materia prima aziendale, per la restante metà sembra si potrebbero acquistare prodotti dalla grande distribuzione e da aziende artigianali ubicate in regione”.
“Oltre a utilizzare metà materie prime non proprie”, puntualizza Artelio”, in questo modo si aprirebbe alla possibilità di rifornirsi, per un 50%, da aziende artigianali venete senza tuttavia specificare che il prodotto debba essere della nostra regione. Va da sé che verrebbe meno la reale mission degli agriturismi, che da sempre tengono alta la bandiera del legame col territorio e dell’offerta di prodotti genuini a chilometro zero“.
Occorrono più controlli e tutele dei consumatori.
Secondo l’associazione dei pubblici esercizi del Veneto, occorre allinearsi ad altre regioni quali Toscana, Emilia Romagna e Lombardia dov’è espressamente previsto che il prodotto, e non solo l’azienda fornitrice, sia di origine o di tradizione regionale.
“Siamo a favore”, prosegue Artelio, “dell’obbligo di indicazione nel menù dell’origine delle materie prime utilizzate. Diversamente si spianerebbe la strada alla proliferazione dei cosiddetti “falsi agriturismi”. Andrebbe in questa direzione anche l’attività di vendita per asporto e consegna a domicilio dei propri prodotti: servizi che con l’agricoltura non hanno nulla a che vedere. Anche la partecipazione a manifestazioni esterne, sagre e fiere non tipicamente legati al territorio, comporterebbe confusione”.
Altro tema importante, quello dei controlli, finora decisamente insufficienti. Per questo, Artelio lancia un appello ai consiglieri regionali veronesi affinché si facciano portavoce delle istanze della categorie degli esercenti “reduci da due difficilissimi anni a causa della pandemia e ora alle prese con le gravi conseguenze legate al boom dei costi delle materie prime, dell’energia oltre che all’impennata dell’inflazione che riduce e ridurrà sempre più i consumi non essenziali”.