Anche l’Università di Verona ha partecipato allo studio sulla variante brasiliana.
Uno studio condotto con la collaborazione dell’Università di Verona mette in guardia nei confronti della cosiddetta “variante brasiliana”. La quale, secondo questo studio, potrebbe essere non solo più contagiosa ma anche associata a una maggiore mortalità, in particolare nella fascia giovane di popolazione, dai 20 ai 49 anni. La scoperta, se confermata da altri studi, andrebbe a sottolineare ancora una volta la necessità di una rapida e capillare campagna di vaccinazione.
Lo studio, ancora preliminare, è stato appena pubblicato sulla rivista MedRxiv, con il titolo “Aumento della mortalità per COVID-19 in giovani adulti in corrispondenza della diffusione del nuovo ceppo B.1.1.28.1 (P.1) di SARS-CoV-2 (Sudden rise in COVID-19 case fatality among young and middle-aged adults in the south of Brazil after identification of the novel B.1.1.28.1 (P.1) SARS-CoV-2 strain: analysis of data from the state of Parana)”.
Gli autori sono Giuseppe Lippi, direttore della sezione di Biochimica clinica nell’ateneo di Verona, Maria Helena Santos de Oliveira e Brandon Michael Henry, la ricerca è stata realizzata dallaFederal University of Parana, (Curitiba, Brazil), dal Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, (Cincinnati, OH, USA) e dall’università di Verona.
Lo studio ha analizzato oltre 500 mila casi di Covid-19 nello Stato del Paraná, nel sud del Brasile, con diagnosi fatta nel febbraio 2021 quando la variante P.1 (cioè la variante detta “brasiliana”) è divenuta quasi endemica e comunque con diffusione superiore al 70%, e nel gennaio 2021, quando la circolazione della variante P.1 era minima o assente. Lo studio preliminare, evidenzia che in tutte le fasce di età la variante P.1 sembra associarsi a mortalità maggiore per Covid-19. L’incremento del tasso di decessi appare particolarmente evidente (fino a 3 volte) in pazienti di età compresa tra i 20 e 29 anni. Ciò conferma alcune osservazioni preliminari, secondo cui la variante P.1 non solo potrebbe essere più contagiosa, ma anche maggiormente virulenta e patogena.
“Pur preliminari – spiega Giuseppe Lippi – questi risultati sono stati ripresi da molti organi di stampa negli Stati Uniti e Inghilterra, e suggeriscono la necessità di instaurare un sistema di monitoraggio costante della diffusione delle varianti di Sars-CoV-2, aggiungendo enfasi alla necessità di procedere celermente con le vaccinazioni, affinché si possa minimizzare il rischio che ceppi particolarmente virulenti (come P.1 o B.1.351, cioè la variante “Sudafricana”) possano insorgere e diffondersi nella popolazione”.