Il dramma familiare di Vago di Lavagno: cosa ha spinto Alessandra Spiazzi a sparare al figlio e a togliersi la vita?
Ormai su quel che è accaduto in quella villetta di via Galilei, a Vago di Lavagno, non sembrano esserci più dubbi: Alessandra Spiazzi, 58 anni, ha sparato al figlio di 15 anni, appena rientrato da scuola, colpendolo al capo, alla nuca, e subito dopo ha rivolto l’arma contro di sé, senza esitazione, suicidandosi. La ricostruzione della polizia scientifica non lascia spazio a equivoci. Il giovane, ricoverato in condizioni gravissime all’ospedale di Borgo Trento, è attaccato alle macchine che ne sostengono le funzioni vitali.
La Procura della Repubblica, che indaga sull’accaduto, accredita al momento l’ipotesi di un omicidio-suicidio. “La donna da tempo aveva problemi sanitari”, ha dichiarato il procuratore Raffaele Tito, confermando che non vi sono indagati e che il marito, Luciano Feltre, è stato sentito solo come persona informata sui fatti. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo era in casa al momento della tragedia, rientrato dal lavoro, ma si trovava in un’altra stanza.
E poi ci sono le testimonianze dei vicini. Molti confermano che negli ultimi tempi i litigi tra madre e figlio erano frequenti. Anche quel giorno, prima degli spari, erano stati sentiti gridare. Eppure lei è stata descritta come una donna attiva, impegnata nel sociale, orgogliosa di quel ragazzo che frequentava il liceo. Ma allora, perchè? E poi resta da chiarire la provenienza della pistola utilizzata. Secondo le prime indagini, l’arma non era denunciata, ma sarebbe appartenuta al padre di Alessandra, deceduto anni prima. Gli inquirenti stanno cercando di capire perché fosse ancora in casa e cosa abbia spinto la donna a compiere un gesto tanto tragico.
Dietro questa vicenda sembrano celarsi problemi di salute mentale, in particolare una depressione che avrebbe colpito Alessandra negli ultimi tempi. Una tragedia familiare che lascia aperte molte domande: cosa ha scatenato tanta violenza? E soprattutto, poteva essere evitata?