Dopo il caso di Santa Maria di Zevio si apre il dibattito sulla pericolosità della caccia.
Dopo la tragedia sfiorata a Santa Maria di Zevio, si levano da più parti le voci che chiedono più attenzione per un’attività come la caccia, che mette a rischio l’incolumità delle persone. L’incidente di ieri non è infatti un caso isolato: solo nell’ultimo mese, da quando è stata aperta la stagione di caccia, ne sono accaduti tre. L’ultimo, in ordine di tempo, quello di Ieri mattina nella zona di Santa Maria di Zevio, dove i pallini di un proiettile sparato da un cacciatore hanno ferito a un occhio una donna mentre passeggiava.
Ricordiamo che la legge prevede una distanza minima di 150 metri, per sparare, quando si è in prossimità di strade o centri abitati. Ma sono sufficienti? E se la stessa Federcaccia invita alla prudenza, sulla questione interviene anche l’Oipa, l’Organizzazione internazionale per la protezione animali, che chiede a governo e Parlamento di “valutare seriamente le conseguenze dell’attività venatoria sulla sicurezza pubblica e di mettere mano alla legislazione in materia per evitare che, a fine stagione venatoria, si continui a fare la conta dei morti: cacciatori e non solo cacciatori”.
“La caccia causa ogni anno morti e feriti, spesso non cacciatori, colpevoli solo di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato, per esempio facendo una passeggiata in un bosco – commenta il presidente dell’Oipa, Massimo Comparotto –. Quello delle vittime della caccia è un tema ancora poco considerato dalle istituzioni. Eppure, dato il conteggio delle vittime, governo e Parlamento dovrebbero iniziare a riflettere sul problema di sicurezza pubblica evidenziato da questi incidenti. Quante vittime umane, senza considerare gli animali, dovrà ancora fare l’attività venatoria prima che questa circostanza diventi un allarme sociale? Occorrerebbe un giro di vite legislativo per eliminare alla radice questo grave problema di sicurezza pubblica”.