Il provvedimento riguarda la direttrice sanitaria Bovo, Biban e Ghirlanda
Tre dipendenti dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Verona sono stati sospesi dal lavoro dal commissario Francesco Cobello per la vicenda dei cento bambini ricoverati in Terapia intensiva neonatale che dal 2015 allo scorso luglio sono stati colpiti dal Citrobacter, come accertato dalla commissione inviata dalla Regione. Quatto di loro, Leonardo, Nina, Tommaso e Alice sono morti, altri nove sono rimasti cerobrolesi. «A seguito delle risultanze della relazione della Commissione ispettiva regionale — ha comunicato alle 23 di venerdì la direzione dell’ospedale — dal 5 settembre vengono sospesi in via cautelare Chiara Bovo, direttore Sanitario, Giovanna Ghirlanda, direttore medico, e Paolo Biban, direttore della Pediatria a indirizzo critico».
Una misura senza precedenti nella storia del Veneto, adottata a a 48 ore dalle due lettere con cui il direttore generale della Sanità, Domenico Mantoan, chiedeva provvedimenti disciplinari a Cobello, che venerdì sera ha presentato anche le controdeduzioni alla relazione della commissione regionale. Secondo la sua «difesa», sarebbero solo nove e non 100 dal 2015 nè 91 dal 2018 i neonati colpiti da Citrobacter: «Nel 2018 un solo caso isolato, nel 2019 tre casi, di cui due incerti per modalità di trasmissione o per provenienza, nel 2020 cinque casi di cui uno probabile, e poi chiusura del Punto nascite.
Tenendo comunque i cinque casi come scritto nella relazione della commissione regionale, il tasso di infezione invasiva per il 2019 è di 1,4 eventi ogni 100 ricoverati e per il 2020 di 1,8 eventi per 100 ricoverati: i due valori non sono significativamente diversi. Non è invece possibile fare confronti per i 91 casi totali del periodo considerato, perché l’unico dato disponibile riguarda lo screening condotto nelle Terapie intensive neonatale e pediatrica nel 2020, mentre mancano dati di confronto per gli anni precedenti — scrive Cobello —. E in letteratura scientifica non vi sono dati di prevalenza/incidenza della colonizzazione da Citrobacter Koseri per altre strutture italiane o internazionali di Terapia intensiva neonatale e pediatrica, pur essendo avvenuti casi di infezione/colonizzazione negli ospedali di Cleveland, Varsavia, Creta e Nimes. Si ricorda infatti che la colonizzazione non significa malattia e non è nemmeno predittiva di futura malattia, ma soltanto indicativa di circolazione del batterio».
Il manager
Quanto poi alle contestazioni di aver sottostimato il problema, non comunicandolo alla Regione, di scarsa igiene delle mani addebitata agli operatori come probabile fonte di trasmissione del batterio, di mancanza di filtri antibatterici sui rubinetti del reparto (quattro trovati colonizzati dal Citrobacter, oltre ai biberon di due bambini e all’acqua utilizzata per il bagnetto) e di assenza di protocolli di prevenzione delle infezioni, il manager ribadisce «l’ampia attività straordinaria di sanificazione e igienizzazione» del reparto interessato avviata lo scorso maggio. Il commissario sostiene infatti di essere venuto a conoscenza del problema solo il 3 maggio 2020. «Stante il numero di colonizzati e l’incertezza sulle sorgenti di infezione, seppur ricercate con ostinazione (circa mille rilevazioni ambientali) e fino ad oggi ancora incerte — riporta nelle controdeduzioni — dall’11 giugno 2020 la direzione decide la non accettazione di nuovi ricoveri con il fine di evitare nuove infezioni. E di provvedere a interventi di bonifica globale della struttura stessa». A partire dall’11 giugno sono stati sospesi i parti e chiusi i due reparti in oggetto, sottoposti ad «ampia revisione ambientale su qualsiasi ipotesi di sorgenti di Citrobacter, cioè acqua, aria e superfici», e un intervento di iperclorazione ha riguardato la rete idrica dell’Ospedale Donna e Bambino. Cobello assicura che l’acqua del rubinetto non è mai stata usata per il biberon dei bimbi e di aver rivisto, tra maggio e giugno, le procedure per la pulizia delle due Terapie intensive, per il lavaggio e l’igienizzazione delle mani con gel alcolico (con relativo monitoraggio del rispetto delle regole) e per l’accesso di visitatori esterni. «Sono stati rivalutati tutti i protocolli di prevenzione delle infezioni con tutti gli operatori sanitari», conclude il manager. Venerdì intanto gli ispettori del ministero della Salute hanno contestato la sottostima del problema da parte dell’Azienda ospedaliera, acquisito la relazione della commissione regionale, risentito dirigenti e camici bianchi, che hanno ripetuto di essere rimasti all’oscuro di tutto fino a maggio scorso, e chiesto psicologi a sostegno dei dipendenti interessati dal caso. E bersaglio di minacce su Facebook. «Ti vengo a cercare, come promesso. Tu e la tua compagnia. Fino a quando non vi vedrò strisciare con i piedi per terra», l’attacco a un pediatra. «Tutti sapevano, medici e infermieri. Siete stati disonesti e schifosi. Per questo vi voglio vedere morti — un altro post —. Pensavo che quello fosse il posto più sicuro per piccoli angioletti indifesi e invece ci avete tenuto nascosto tutto. Se vi vedo per strada vi passo sopra con la macchina». Cgil e Nursing, sigla degli infermieri, hanno presentato due esposti in Procura. (Corriere.it)
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